1. Inverno I mov - Vivaldi
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Nella sua descrizione davanti ai colleghi dell’Alpine Club di Londra, Leslie Stephen, giunto sull’altopiano nel 1869, lo descrive come “il più selvaggio e sterile dei deserti, un ambiente di curious wilderness”. Egli nota che la superficie non ha forti dislivelli ma porta i segni delle acque superficiali, che lo hanno inciso con piccole depressioni, mentre l’azione dei ghiacciai ha arrotondato le sporgenze trasformandole in gibbosità a cupola. La superficie dell’altopiano presenta tutti i fenomeni del carsismo superficiale: doline, campi carreggiati (o solcati), inghiottitoi. L’idea di “deserto butterato” è dominante, non solo nei primi viaggiatori ma anche, probabilmente, in tutti quelli che oggi si inoltrano nell’altopiano. (parcopan.org)
Da San Martino di Castrozza, l’impianto Colverde-Rosetta proietta in poco tempo e senza fatica sino ai 2633 metri della stazione a monte, posta sul margine occidentale del grande altopiano delle Pale di San Martino.
All’uscita della stazione, alle 8,45 del mattino, il termometro segna 13 gradi sotto zero. La giornata è bellissima ma spira un forte vento di maestrale (da nord-ovest) che s’incunea con prepotenza tra la dorsale Croda della Pala-cima Corona e cima della Rosetta. Data la vastità e l’apparente uniformità dell’altopiano non è consigliabile avventurarsi in caso di nebbia od in inverno quando, per mancanza di visibilità o neve abbondante, si può facilmente perdere di vista la tradizionale segnaletica ed i numerosi omini di pietra. In questo ultimo inverno povero di precipitazioni abbiamo trovato neve naturale soltanto ad alta quota e neppure abbondante; il forte vento ha lasciato un sottile strato di neve, gelata nei punti più esposti ed accumulata altrove per non più di trenta cm. Abbastanza facile è risultato quindi seguire i tradizionali segni bianco-rossi, i frequenti omini di pietra ed i pochi cartelli verticali. Tralasciando la salita immediata alla vicina cima Rosetta (2743 m) a causa del forte vento, con la promessa di tentarla nel pomeriggio, prima di riprendere l’impianto per tornare a San Martino, in discesa procediamo verso il rifugio Pedrotti (2581 m), edificato poco oltre il passo di Rosetta e chiuso nei giorni infrasettimanali, per affrontare successivamente l’altopiano in direzione est superando una lunga serie di sali-scendi, con il probabile obiettivo di cima Fradusta, sulle tracce dei sentieri 707-709. Il dislivello non è mai eccessivo. A quota 2605 m lasciamo il sentiero 707 per seguire il 709 in direzione sud-est. Transitiamo sotto cima Tomè, versante nord, per giungere al passo Pradidali Basso (2658 m) ed affrontare l’ultima salita del percorso di andata che ci porterà sulla cima a cupola, senza nome, quotata 2704 m, in poco più di due ore dalla stazione a monte della funivia.
Da quota 2704, panorama verso nord. Da sinistra in primo piano Cimon della Pala, cima Vezzana, Bureloni, Valgrande e Focobon; in secondo piano Marmolada e Civetta: al centro, altopiano delle Pale. (Tutte le foto non firmate sono attribuibili ad Alberto Zerbini, compagno d’escursione) Occorrerebbe ridiscendere al passo Fradusta (2610 m) e risalire poi gli oltre trecento metri mancanti per raggiungere la cima omonina, con una previsione minima di altre due ore abbondanti, alle quali sommare poi il tempo necessario per ritornare alla stazione a monte prima della chiusura pomeridiana dell’impianto. Decidiamo quindi di sostare e riprendere la via del ritorno che ci porterà all’impianto in poco più di due ore dalla cima appena raggiunta. Con un pò di rammarico si dovrà nuovamente rinunciare alla salita a cima Rosetta per il forte vento che continua ad imperversare nei pressi della stazione a monte e sul crinale della cima stessa. Percorso rilevato con GPS e trasportato su mappa Google Earth: in nero utilizzo impianti di risalita; rosso in andata, verde al ritorno. Cliccando sul simbolino della macchina fotografica si può visualizzare la foto. |
Mappa della cima:
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